CLAUDIO BELLINI
Opera 1a classificata
Figlio
Figlio che nasci
con il destino già deciso.
sceglieremo per te ad ogni scandire di minuto,
sarai medico, stilista, avvocato,
e mai semplice uomo libero
che non svende la dignità
delle proprie idee.
Figlio che cresci
dentro una realtà di plastica
che impedisce ai pensieri di respirare,
figlio d’arcobaleni spezzati
prigioniero d’un tempo
che scivola sulla pelle
come una lama di rasoio.
Figlio che vivi
giorni dipinti di sangue,
il tempo è falce dei sogni
ma tu guarda sempre
oltre la siepe dell’indifferenza,
cerca nell’impossibile
un raggio di luce per l’anima.
Abbracciami forte figlio
guarda l’immensità delle stelle
e non avere timore,
il giudizio delle persone crudeli
è solo nebbia nel vento.
Accarezzami ancora figlio,
perché domani io non ci sarò,
ma tu non avere paura
a mostrare le lacrime,
perché solo chi è forte dentro
non teme un gesto d’amore.
MARIA ROSA GELLI
Opera 2a classificata
Quando teneramente guardo il cielo
Avevo già baciato quando ti incontrai
eppure mi sembrò di non avere mai incontrato labbra d’uomo.
Tra le tue braccia scoprì il linguaggio dell’amore
tra gli sguardi su un mondo d’intese,
tra gli abbracci che addolciscono e rapiscono.
Ci rincorremmo per le lunghe estati
prendendoci e lasciandoci nel giro di un tramonto
sulle spiagge mediterranee e sulle cime innevate
in città nebbiose, solari, sconosciute, note
sempre aspirando a quel qualcosa che sentimmo subito
che ci avrebbe resi troppo felici per non lottare.
Lasciando i nostri sogni di tardivi adolescenti
entrammo nella vita.
Ci guardammo negli occhi, felici.
Pochi istanti.
Poi la vita fu crudele.
Lottammo insieme
e il nostro amore non fu solo passione.
Fu vita contro la morte
fu coraggio, incoscienza e ancora felicità.
Fu forza, la forza della farfalla
che vive un solo giorno,
la forza dell’albero che colpito dal fulmine
svetta ancora sereno sulla cima,
la forza di un vita senza più futuro
che credeva nel domani.
Te ne andasti, silenziosamente, in un giorno d’ottobre
quando le foglie si tingono di rosso…
E continuo a camminare sulle tue strade
e continuo a nutrirmi del tuo amore
e continuo a sognare il tuo sorriso
quando teneramente guardo il cielo.
PAOLA DALLARDI
Opera 3a classificata
Fragranze
A volte
quando il profumo
di camomilla s’unisce
al sentore di fragola
mi passano nella mente
come ombre sull’acqua
momenti d’allora
inafferrabili e lontani
Eppure così vivi
preziosi
e mi cullo di loro
mi vesto del ricordo
e ritorno lesta
sui miei passi
che ho lasciato sul tappeto
del tempo
in cerca di orme
che ormai
non esistono più
FRANCESCO FACCHINETTI
Opera 4a classificata
Lamento per Federico Garçia Lorca
Portarono all’alba
un bianco gelsomino
alla fonte delle lacrime
Offrirono nappi di schermo
alla fonte delle lacrime.
Poi latrarono i cani
alla fonte delle lacrime.
La terra gemette con occhi di vetro
alla fonte delle lacrime.
I denti della morte
strapparono angosce e tormenti
alla fonte delle lacrime
L’intolleranza troncò il sentimento
alla fonte delle lacrime
Tutto fu ghiaccio
alla fonte delle lacrime.
Non protese le mani
l’immemore Granada
alla fonte delle lacrime.
Cancellarono il lampo,
il fuoco e l’istinto,
alla fonte delle lacrime.
Ti seguirono in cielo
carole e chitarre
alla fonte delle lacrime.
Il mio cuore s‘è fermato
alla fonte delle lacrime
Ah, quel pianto d’ulivi
alla fonte delle lacrime!
Aperto lasciate il balcone
alla fonte delle lacrime!
ADRIANA SCARPA
Opera 5a classificata
Se un bacio di sole potesse
Si destano i coppi per primi
lambiti dal sole radente
poi si accendono torri e abbaini.
il mattino ora sparge colori
lungo sponde di pigri canali
e ridesta memorie affrescate
sull’incanto rosato dei muri
sullo scintillio di vetrate.
Ai tronchi si avvolge una sciarpa
di luce, abbraccia le fronde,
spazza via dalle case le ultime
ombre, schiude gli usci. E l’anima
corre a tuffarsi gioiosa
nelle strade ancora deserte,
dà la sveglia ai gorgheggi tra i rami,
alle voci, agli scoppi di risa.
Se un bacio di sole potesse
allo stesso modo destare
il mio corpo stanco, all’alleviare
il peso dei giorni feriti.
Ma non sono io la città
e nemmeno la bella che dorme
e un principe viene a svegliarla.
Però posso inventarmi
folata di vento, vestirmi di sole
e tutto il mondo allora
mi appartiene.
Oltre muretti di luce
straripano gelsomini profumati
e divento una farfalla che si inebria.
ANNA CALOSSI
Opera 6a classificata
Mangiafuoco a “Beslan”
C’era un avolta
il tempo delle meraviglie
sbocciato nell’azzurro dell’infanzia.
C’erano le maestre
custodi del nostro cammino;
un equilibrio di parole
sgorgava dagli acquarelli nuovi.
Fra i banchi della fantasia
correva l’innocenza
sui dondoli in cortile si adagiava
aprendo le sue ali al raggio della vita.
Ma dove la morte vola
sta la civetta sui rami del presagio
a guardar l’orrore,
con le pupille oziose fissa la vita
che lentamente fra i libri e la purezza si disperde.
Brividi disciolti fra i rigurgiti amari
e lacrime di sale penetrano nelle ossa:
l’umidità come la nebbia
come l’acqua l’urina.
Punge la pelle
caduta come selvaggina fra le spine,
muoiono le fiabe
e le farfalle come da fiore in fiore
su grappoli di fuoco.
L’inferno è del puparo che di defunti si circonda.
Nel tempo di sognare un libro mai aperto muore.
Cerca “Maria” un sepolcro
e sotto a quelle croci
ciondolano ora le madri.
Cadono in volo
le grida dei bambini
come aquiloni uccisi
nel vento del perché.
RITA CLAUDIA SCORDINO
Opera 7a classificata
Musica
Canto a te,
che accompagni l’anima
come nessuno.
I momenti di gioia,
la solitudine,
la serenità,
la malinconia…
Il tuo ritmo
uguale i diverso
viaggia parallelo
alle emozioni
che la vita cui regala.
Anche quando
ti sentiamo
senza ascoltarti…
anche quando
sei il ricordo
di qualcosa
che vorrei rinnegare.
Anche se il tuo suono
mi conduce
a chi è ormai
troppo lontano.
Anche se il tuo ritmo
è un susseguirsi
di note
e di immagini
nate da altri cuori,
per altri percorsi
di vita
carichi di umanità.
DANILA OLIVIERI
Opera 8a classificata
Mi chiamavano col tuo nome
Stamane il rigoglio dei nostri clivi
ha brume lievi e la memoria
dei passi ha incontrato sui sentieri
scalzi – roridi d’infanzia – i perduti
incanti del semplice vivere
tra vigne e zolle d’orti.
Nutrita d’armonia e cullata
nel sicuro grembo del bosco
struggenti resine respiro.
...E tu sei ancora lì – così radiosa nel ricordo – sussurro di brezza tra i rami,
luce di linfa viva e forte
nelle turgide foglie
del castagno più grande…
Lo so – madre – ho tardato a venire,
a lungo ho celato la tenacia
di vita abbarbicata nelle rupi
della mia terra erta sul mare,
nei bui anfratti del cuore.
L’aspra salita d’essere
ha sofferto vertigini
aggrappate a catene
e gli orizzonti lividi dei gironi
convinti erano d’affondare
in voragini del profondo.
Sulla mia scorza oggi le stimmate
di sfinite cadute,
ma ruscella negli occhi l’impeto
delle presenze nuove
e in me sempre più ti respiro, madre.
Sempre più ti somiglio
Stamane – sai – le allodole
intessevano voli verticali
e tremule trame di cielo
mi chiamavano col tuo nome.
ANTONIO AGNESI
Opera 9a classificata
Sii te stesso
Sii te stesso
rifiuta i luoghi comuni
snobba quanto imposto dalle mode
non accettare che altri pensino per te
ribellati alle false necessità
smetti di maledire l’intero universo
senza sapere perché.
Da peso ai valori veri
rifletti su quello che ti circonda
persegui ciò in cui credi
sorridi al prossimo.
Sii te stesso
vivi le tue emozioni
alza lo sguardo e
guardandoti allo specchio
ti scoprirai felice
di vedere chi veramente sei.
VITTORIO RENZELLI
Opera 10a classificata
Giorni
Stereotipate preghiere
stereotipate speranze
come barboni all’elemosina
rincorriamo la vita;
Come cani latranti
nella pietà delle nostre
affamate richieste.
ALBA SILVA
Opera 1a classificata ex aequo Sezione vernacolo pavese
L’amur par nà mundinna
A l’eva l’an dal 1958;
una matinna
quand al su spuntava,
mi i caminava
par na strà ad campagna
d’un paisin d’là Lumlinna
E m’ho farmà guardà
una squadra ad mundinni
che ieran già ans’al lavur an mès ad n’a risera.
C‘à m’ha cùlpì pusè
l’a stai ma mundinna
giuna e picninna,
che an mès dal camp tut’anlagà
a ma smjava che da un mument a l’autar
l’ava d’angà!
Mi, iavria vursù andà iutala;
però mi son na parsonna studjà
e m’a smjava un po’ da stuppit
andà an mès ad cul acqua,
po…, i m èpe iavrijan stai tùc anfangà!
Ma cula mundinna
cun la so schenna tutta ancurvà
am fava propi pena!
Lura… mo cavà i me scarpi…
mo fai su manni e causon
e an tà cul acuqa anca mi io sautà
cun i mè pè da impiegà!
Par l’amurda cula mundinna
gò pù vù pagura
né dl’acqua né di pè anfangà
io sbasà nca mi la mè schenna
e io mparà a mundà!
E,...se gò da div la vrità
mà piascu pusè che fa l’impegà!
RINA RAVERA
Opera 1a classificata ex aequo Sezione vernacolo pavese
Al supermarcà
L’atar dì s’era àdrera a fa la psesa
E, mè al solit, a sava no se pja;
Puntava al me carèel e tra mi pensava:
“E inco s‘è ch’a faro da mangà?”
A sono par vuatar, ma par mi a l‘è un problema
Ch’u s’ presenta propri tuti i dì;
Ma almeno a m’diss, s’infusan tuti d’acordi
E invece no… al fio a gh’piàas àl rost e a l‘òom al buì.
Va ben, a m’so decisa, incoch’la vaga par al rost;
ma quand la cumèsa a l‘è adrera a famàal su…
a m’riva una carelà int’la schena
e un duluur tremèend a m’fa piegà in du.
A m’giir cun l’intension da dì Ôna parulasa
E a m’troov davanti, veramèent dadrera,
una dona bionda, scuntrusa e bruta…
Par mi l’a pusè antipatica d’Vughera.
Mi a so no ch“i è ch’l‘è, né indè ch’l‘a sta,
però a l’incontrar quasi tuti i dì...
La m‘à mai fat gnenta, lameno fena a inco…
Ma chi a gh’matris i diid int’j oog, a le garantì.
Adess l’a m’varda e l’a parla no
E quand l’a parla, l’a m’disa (c’un l’aria da fena)
“Però anche lei…teneva troppo spazio…”
A mì, a m’frisa i man, a so no chi è che a m’tena.
“Ch’l‘a tasa par piasì, ch’la vaga avanti
e lè l’a va, cul nàas ch’u varda in su…
“Però anche lei…” L’a m’disa un’altra volta
mi… a nim’pos pu ad chi lè
ma ch’l‘a vaga… ma ch’l‘a vaga… ma ch’l‘a vaga…
a da via i pè